E’ la fine!

I giorni passano e si riducono sempre di più le ore che ci vedono impegnati come operatori del Servizio Civile Universale. Ci prepariamo al grande giorno, la serata conclusiva organizzata per congedarci dopo dodici mesi trascorsi nelle realtà che ci hanno visti partecipi, ovvero l’Harambèe, il Gapp e l’oratorio del Valentino a Casale Monferrato.

Avremmo voluto fermare il tempo, fare in modo che il fatidico martedì 26 aprile non arrivasse, invece ci ha raggiunto prima che potessimo rendercene conto: dopo un anno trascorso insieme, siamo arrivati alla consapevolezza che un capitolo del nostro cammino è giunto al termine, ci stiamo infatti avvicinando ai “titoli di coda”, quelli che si scorgono negli occhi lucidi di chi ha scelto di partecipare alla festa dedicata a noi.

Le porte dell’ascensore si aprono e ad accoglierci troviamo alcuni ragazzi che immediatamente ci salutano con un sorriso già nostalgico: non lo vogliono ammettere, eppure sono consapevoli del fatto che sarà una serata ben diversa dal solito. Scendiamo nel salone dell’oratorio, dove ci attende Barbara, intenta ad allestire la sala nella quale saranno ospitate circa quaranta persone, lì per noi.

Tra una parola e l’altra allestiamo la sala e prepariamo i tavoli, Barbara con l’ironia che la contraddistingue afferma: “certo che un anno fa eravate più composti, timidi, silenziosi…” tutti sorridiamo mentre a voce alta facciamo un tuffo nel passato. Quell’istante ci porta a ricordare quanto eravamo concentrati, emozionati e tesi a non dare una brutta impressione durante la prima riunione sotto al porticato in cortile. Questa sera, invece, ci muoviamo intorno ai tavoli con sicurezza e ognuno apparecchia sistemando qualcosa di diverso (piatti, bicchieri, posate, tovaglioli), allo stesso modo in cui negli spazi che coinvolgono le rispettive realtà abbiamo messo in campo competenze e capacità differenti con l’obiettivo comune di diventare punti di riferimento significativi per i ragazzi; siamo cresciuti nella dimensione del gruppo trovando complicità anche nelle piccole faccende quotidiane.

Dedichiamo gli ultimi momenti insieme alla preparazione di un gioco intitolato “lo sapevi che…” da proporre ai ragazzi dopo cena. Ognuno di noi inventa cinque frasi bizzarre che caratterizzano la propria personalità, come ad esempio “ha un sugo preferito per la pasta”. I ragazzi, divisi in due squadre, dovranno indovinare di chi si tratta tra Caterina, Elena, Giulia e Mamadou. Successivamente dovranno posizionare il relativo post-it con su scritta la particolarità nella colonna riservata a ciascun volontario del Servizio Civile. Dopo aver progettato l’attività, accorriamo a dare il benvenuto agli invitati: i volontari ci sorridono e ci stringono in lunghi abbracci, dai loro occhi si percepisce la felicità autentica che provano nel ritrovarsi tutti insieme tra vecchie e nuove conoscenze. In seguito, arrivano i ragazzi dell’Over18, i ragazzi del Gapp e i giovani della Comunità Educativa e Residenziale accompagnati dagli educatori. Finalmente tutti prendono posto, sono eleganti come lo si è in ogni situazione di festa che si rispetti.

Si recita una breve preghiera che racchiude un arrivederci e un augurio di buona fortuna rivolto agli operatori del Servizio Civile, seduti a capotavola, e viene servita la pizza mentre si ride, si scherza e si cerca di fissare nella propria memoria questi attimi che rimarranno per sempre nel cuore.

Nel frattempo, i protagonisti della serata, si scambiano sguardi d’intesa malinconici e soddisfatti per la strada intrapresa. Dal sottofondo di voci che si confondono tra loro, emerge una considerazione di Mamadou, il quale si sente riconoscente anche nei confronti dello Stato italiano che ha saputo accoglierlo senza giudicarlo. Per lui, infatti, l’esperienza del Servizio Civile è stata un modo per aprirsi agli altri, condividere momenti di confronto e di crescita con i pari e con ragazzi più giovani di lui, ma anche “sdebitarsi”, per le possibilità che l’Italia gli ha offerto dal primo giorno in cui è sbarcato nel nostro Paese.

Sul finire della serata, ci si mette in posa pronti per l’ultima foto ricordo, lo scatto da racchiudere nell’album fotografico, quello capace di far “respirare” le medesime sensazioni ed emozioni anche a distanza di tempo…

Riceviamo dai ragazzi e dagli educatori un dono personalizzato scelto con cura come simbolo per celebrare senza dimenticare il cammino percorso insieme; al medesimo tempo, però, siamo tutti d’accordo sul fatto che la nostra presenza ha avuto senso grazie alle persone con cui siamo entrati in relazione, in primis i ragazzi dal cuore e dall’anima grande, che hanno saputo lasciarci qualcosa di difficile da descrivere, che non potrà mai avere eguali dal momento in cui ogni essere umano è unico, originale e irripetibile: dagli adolescenti, infatti, si impara a sorridere anche quando la giornata va storta; ci si rende conto che la “musica a palla” fa diminuire il frastuono dei pensieri se la si canta in coro; diventano inconfondibili le pacche sulla spalla date per augurare buona fortuna; ci si saluta utilizzando “bella brò” o “ciao frà” ed ecco come si viene accolti con entusiasmo dopo una lunga giornata trascorsa fuori casa.  

Infine, i ragazzi della Comunità Harambèe si ritirano nella propria casa e prendono posto sui divani, lì dove sono abituati a radunarsi in cerchio per una riflessione e una preghiera, la “buonanotte” che Don Bosco dava ai suoi ragazzi prima di andare a dormire.

A differenza di altre sere, però, li attende per dar loro un saluto particolare Giulia, una dei cinque giovani coinvolti nel Servizio Civile Universale. Lei ha pensato di dimostrare immensa gratitudine ai “suoi” ragazzi scrivendo una lettera dedicata ad ognuno contenente un segnalibro personalizzato. La consegna delle lettere avviene in un silenzio surreale per quegli adolescenti che trovano sempre un buon motivo per bisbigliare: ognuno tace nella speranza di sentirsi chiamato il prima possibile senza essere dimenticato (non è scontato naturalmente). In seguito ciascuno esprime la propria riflessione in preghiera in un’atmosfera toccante tra tanti grazie, abbracci e commozione.

L’ultima buonanotte dell’anno si mescola a piccole confidenze e parole non dette, il quotidiano si è fuso con il particolare, l’inusuale, sottolineando come questa esperienza abbia cambiato le vite di tutti noi.

Dunque, è davvero la fine? Ma speriamo proprio di no, che sia invece l’inizio di una nuova consapevolezza, nuovi cammini, nuove collaborazioni e intrecci, piccole grandi emozioni, così, ci sentiamo di affermare a gran voce che è finita ma il finale non c’è… perché una parte importante del nostro cuore resterà custodita tra le mura di Casa Harambèe.

A presto!

Ref. Giulia Vogliotti

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