L’affidamento – o affido – è una soluzione di accoglienza che risponde ai bisogni di cura, assistenza ed educazione di un minore in situazione di disagio; è una sorta di “parentesi temporale” che ha lo scopo di offrire una dimensione di accoglienza e cura riparativa al minore da una parte e di provare a recuperare le funzioni genitoriali deficitarie o assenti dall’altra.
Si tratta di un allontanare per riavvicinare, poiché il minore viene allontanato temporaneamente dalla famiglia di origine ed affidato ad un contesto che offre accoglienza, protezione, sostegno e possibilità di riparazione e cura, mentre si lavora per il recupero o l’acquisizione delle capacità genitoriali necessarie a stabilire la migliore delle relazioni possibili nell’ottica di un rientro – o almeno di un riavvicinamento – in seno alla famiglia di origine in condizioni favorevoli rispetto al passato.
La legge 184/1983 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, già al suo primo articolo “Diritto del minore a una famiglia” afferma il diritto del minore di essere educato nella propria famiglia, con la legge 149/2001 si stabilisce un indirizzo preciso per le politiche dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia, dando la priorità agli interventi a sostegno di questa e rimuovendo, con un opportuno lavoro di rete, gli ostacoli che impediscono ai genitori di prendersi cura ed educare i propri figli, fornendo loro il modo di esercitare pienamente e consapevolmente la responsabilità genitoriale (https://www.miur.gov.it/responsabilita-genitoriale#:~:text=E’%20infatti%20in%20vigore%20il,e%20delle%20aspirazioni%20del%20figlio.).
Questa (D.Lgs. 154/2013) si configura come un istituto ben diverso dalla vecchia patria potestà – di cui è evidente il richiamo al potere del padre – e più evoluto della successiva potestà genitoriale – che estendeva questo potere ad entrambi i genitori – in quanto l’accento non è più sul potere del genitore sul figlio, ma sulla sua responsabilità nel fornire supporto, cure materiali e morali, orientamento e guida educativa tenendo conto delle naturali inclinazioni del minore, trovando un accordo fra entrambi i genitori.
Nelle situazioni di sofferenza e disagio, dove si verifichino casi di negligenza, maltrattamenti, abusi, violenza subita o assistita, avviene l’allontanamento dalla famiglia, essendo le mancanze di questa insormontabili e lo sviluppo armonico e sereno del minore compromesso (la convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza afferma chiaramente la centralità dei best interests of the child, reso in italiano con superiore interesse del minore o interesse preminente del minore – https://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/agia_30_anni_convenzione.pdf).
In questi casi si fa ricorso all’affidamento del minore ad una famiglia o ad una comunità: soggetto privilegiato è la famiglia, in primis i familiari fino al quarto grado di parentela, se non vi sono i presupposti – per mancanza di requisiti, possibilità o disponibilità – ci si orienta all’affidamento etero familiare, privilegiando famiglie con figli minori, poi coppie, singoli e infine comunità.
In Italia, dei circa 28.000 minori fuori famiglia, più della metà sono collocati presso famiglie affidatarie, gli altri sono ospiti di comunità per minori; è evidente la sproporzione fra numero di minori allontanati e famiglie disposte all’affido.
Fermo restando che la collocazione in comunità non è una scelta residuale, ma ponderata e definita per casi particolari, ci sono minori – soprattutto in età adolescenziale – che non si riesce a collocare in famiglia, visto che la disponibilità non copre il bisogno reale.
I motivi di questa realtà sono diversi: serve far conoscere e diffondere la cultura di cura dell’infanzia e dell’adolescenza, sensibilizzare e coinvolgere, intercettando e facendo crescere disponibilità e voglia di mettersi in gioco in una sfida educativa e umana che richiede una solida motivazione, un grande impegno, molte energie e specifiche competenze perché non basta il volontarismo, servono persone motivate, capaci e formate poiché il compito di una famiglia affidataria non è solo sostenere e accudire un minore, ma lavorare in rete e sinergia con i servizi e la famiglia di origine per superare le criticità e creare una percorso di co-progettazione che veda al centro l’interesse del minore e il suo progetto di vita!
La vita accanto ad una bambina o un bambino deprivato, triste, ferito, a un adolescente inquieto e disperato o offeso e autodistruttivo, provocatorio e distruttivo o condiscendente e demotivato non è una vita facile, scegliere di portarsi a casa un minore con una valigia così pesante è un atto di grande coraggio e una sfida continua. Ci vuole coraggio ad affrontare certe tempeste, a sfidare gli elementi. Ci vuole coraggio a fidarsi.
Diventare genitori affidatari è un percorso che arricchisce il singolo, la coppia e la famiglia. Si possono contattare i Servizi Sociali o le diverse organizzazioni che operano sul territorio nazionale o locale.
Harambée, fra le varie proposte, offre un servizio SFA di sostegno alla genitorialità e alle famiglie (https://accaparlante.com/harambee/).
“Quando mi sono accorta che Miro, dietro quello sguardo da duro nascondeva un cuore ferito che stava cominciando a fidarsi di me, di noi, allora ho capito che il sole può tornare a splendere dietro le nuvole, anche quelle più spesse e scure”.
L’affido è un banco di prova, una sfida, un investimento, un rischio, una promessa, per qualcuno un sogno…
Quanto vale regalare un sogno?
Carolina Schiavone