27 gennaio in Harambée

Come tutte le sere, il dopo cena in casa Harambée è movimentato. Qualcuno sgombra la tavola, altri spazzano il pavimento, caricano la lavastoviglie, riordinano i panni mentre chi non ha il “turno” delle faccende domestiche, prepara la sacca per la scuola e suggerisce se chiudere la giornata con un gioco o un film. Ma questa sera, nel consueto vociare si percepisce un’attesa un po’ diversa: sul tavolo, due giovani danno gli ultimi tocchi di colore al proprio lavoro e domandano, parlano, si interrogano. Chi dichiara il proprio imbarazzo all’idea di parlare davanti a tutti e quindi spinge avanti un foglio con un disegno in bianco e nero, e una macchia di colore rosso.

Sono ragazze e ragazzi tanto diversi fra loro, per età, provenienza, idee e interessi, eppure vivono sotto lo stesso tetto e condividono la quotidianità. Oggi fremono perché hanno risposto alla proposta di raccontare a modo loro, con un contributo personale, la “Shoah”.

Finalmente, portati a termine impegni e incombenze, cominciamo la condivisione. Ci affidiamo al caso perché decida chi sarà il primo a parlare. Juan ha scritto in spagnolo (la sua lingua) “Dìa del recuerdo”, e ha disegnato “gli abiti” degli ebrei internati nei campi di lavoro appoggiati sul filo spinato. Chiedo perché ha deciso di rappresentare quella divisa, così da iniziare la discussione per parlare di che cosa significa indossare una specie di pigiama e come ci si sente – oltre al freddo – a non poter scegliere. Emergono riflessioni molto toccanti, una fra tutte quella di Abdullah: “con il pigiama ci si sente deboli”. Così proviamo a pensare e condividere ognuno il proprio vissuto su debolezze e fragilità.

Poi il contributo di Adam che ha disegnato un binario che porta al cancello di ingresso del campo di sterminio e sembra precludere ogni possibilità di continuare a vivere, sperare, progettare, sognare. La frase che sceglie per riflettere è quella di Primo Levi: “I mostri esistono ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi, sono più pericolosi gli uomini comuni”. Quindi pensiamo a quanto sia pericoloso normalizzare l’esclusione, la prepotenza, la violenza e quanto sia facile voltarsi dall’altra parte quando accadono cose terribili, giustificandosi di non aver fatto nulla di male. Allora ci si chiede come possa anche una sola persona fare la differenza. Luigi risponde raccontandoci la storia di Giorgio Perlasca che con grande coraggio, intraprendenza e amore per il prossimo, salvò centinaia di ebrei fingendosi un ambasciatore spagnolo. Riflettiamo sul fatto che anche nella nostra vita veniamo chiamati a fare scelte difficili che richiedono coraggio e sentimento per il prossimo e che serve forza per sentirsi capaci di fare la differenza.

Si è fatto tardi, nessuno vorrebbe chiudere la serata perché questi temi coinvolgono molto e sono un terreno comune su cui confrontarsi al di là delle differenze; quando si parla di vita, di emozioni e di ideali, ragazze e ragazzi sono genuinamente presi dal raccontare e ascoltare, confrontarsi ed esprimersi. Sono desiderosi di essere nella partita della vita vera.

La serata del sabato è dedicata alla presentazione degli altri contributi per andare un po’ controcorrente e “dedicarsi” un momento per stare insieme in modo diverso. Valerio ci parla del progetto Lebensborn, programma di Himmler per difendere la purezza della razza e massimizzare la diffusione di questa. Fra le varie azioni messe in atto per questo scopo vi fu il “trasferimento” forzato, un vero e proprio rapimento, di donne norvegesi che potessero essere madri delle nuove generazioni di tedeschi di pura razza ariana. Questo intervento, molto particolareggiato e ben argomentato ha permesso alle ragazze e ai ragazzi di pensare sul peso che certe scelte folli hanno lasciato sulle spalle delle generazioni successive.

Baraa ha offerto un quadro storico che ha permesso di collocare la Shoah nel contesto che l’ha originata e che ha consentito che si concretizzasse nella sua enormità e mostruosità; quando ci chiediamo a che serva studiare la storia, a che serva conservare la memoria, rispondiamo che se non possiamo restituire la vita e la dignità a chi l’ha perduta, possiamo impegnarci a creare un mondo dove certe cose non si ripetano. 

Ignazio ci propone le parole del “Giorno della memoria” in diverse lingue, alcune non connesse agli eventi storici: perché questa scelta? Perché segregazione, oppressione, persecuzione, pulizia etnica non sono cose del passato, ancora oggi milioni di persone vivono ogni sorta di violenze da parte di altre persone che hanno il potere e la presunzione di sentirsi superiori. Così si arriva a parlare di razzismo, intolleranza, con un parallelismo multiculturale con Harambée. Perché proprio qui, sotto lo stesso tetto, seduti intorno alla stessa tavola, ragazze e ragazzi vivono le loro giornate, sognano la loro vita futura, affrontano le sfide adolescenziali ognuno con la propria diversa storia, la propria diversa origine, credo, ideale. Diversi, ma accomunati dal desiderio di sapere, comprendere, confrontarsi, fare le proprie scelte.

Così da provare a fare la differenza!

Carolina Schiavone

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