Esercitarsi con il plurale

Giulia, Caterina ed Elena hanno iniziato il proprio cammino in Harambèe come volontarie del Servizio Civile Universale e, sotto questa veste, scelgono di raccontare la comunità a partire dalle sensazioni che quotidianamente vivono.

Giulia ricorda di essere stata profondamente colpita dal titolo del progetto offerto all’interno del bando nazionale che l’ha convinta a candidarsi: Questa è la mia casa. Casa è un posto sicuro, il luogo nel quale tutti possono sentirsi accolti e valorizzati, infatti, è proprio qui che spesso si trovano persone in grado di guardarci con cura, soprattutto quando fuori dalle mura casalinghe dilagano i pregiudizi. Eccole lì le “etichette” che si appiccicano, discriminano e feriscono: come sottolinea bene Caterina, uno degli intenti principali di Harambèe è proprio quello di scardinare i preconcetti che ruotano intorno alla comunità al fine di porre le persone al centro.

Un lieve sorriso sulle labbra fa ritornare alla mente di Giulia – che solo dieci giorni prima aveva conseguito la laurea triennale in Scienze dell’Educazione – l’enfasi con la quale fu accolta sulla porta d’ingresso della comunità educativa e residenziale, la casa dei ragazzi. Pareva esserci un’insolita atmosfera di festa, come se il loro arrivo fosse già stato programmato da parecchie settimane: si notava dagli occhi gioiosi di chi osservava attentamente le tre giovani donne presentarsi, dopo un rapido giro negli spazi adibiti alla vita quotidiana.

Caterina si accorge di aver sempre avuto un particolare riguardo verso chi si trova ad affrontare situazioni di difficoltà e proprio qui, tra le mura della comunità salesiana, ha trovato un luogo nel quale potersi donare, perchè offrire agli altri ciò che gratuitamente si ha ricevuto nella vita fa star bene anche sé stessi.

Elena, invece, racconta di essersi sentita accolta fin dal primo momento e sottolinea come le proprie aspettative iniziali si stiano realizzando e trovano conferma neiproficui rimandi degli educatori riguardo al suo operato. Se si sofferma al pensiero che fino a qualche mese fa gli adolescenti le facessero “paura”, a causa della spiacevole esperienza trascorsa tra i banchi di scuola, oggi si dimostra sorpresa per aver ottenuto l’irripetibile opportunità di far parte dei racconti, delle vite e delle storie di questi giovani. Costruire qualcosa di bello insieme ai ragazzi per lei, che è stata profondamente segnata da un ambiente scolastico negativo, è come spalmare l’unguento su una ferita che si sta pian piano cicatrizzando.

Ogni volta che Giulia varca la soglia delle camere da letto chiede permesso: una parola semplice, spesso sottovalutata, ma lei sa bene quanto sia fondamentale arrivare in punta di piedi nelle vite, negli spazi altrui, e se possibile, le è diventato ancora più chiaro con questa esperienza, dove ciascuno rivendica a suo modo il proprio posto inviolato, un piccolo spazio nel quale sono sempre i benvenuti compagni, educatori, volontari e collaboratori, ma che proprio per il fatto di essere così facilmente accessibile, richiede  che chi vi entri lo faccia con le cautele e la delicatezza di chi compare nel “regno” di qualcun altro; le pareti sono colorate e chi lo desidera può scegliere come decorare la stanza per fare in modo che divenga completamente sua e possa riconoscersi: ci sono mensole con peluche, poster degli idoli, soprammobili dei supereroi preferiti, disegni appesi agli armadi, fotografie sparpagliate qua e là e lettere conservate con amore. Nel salone, poi, sonoaffissi molti cartelloni nei quali vengono rappresentati collage di immagini che ritraggono i momenti salienti delle persone che hanno aperto la portadi Casa Harambèe.

“Io avevo già le mie scarpe, però voi mi avete insegnato a camminare”, così disse una ragazza salutando i compagni d’avventura e ringraziando gli educatori che l’hanno sostenuta per quattro lunghissimi anni. Ciò dimostra che, evidenzia Caterina, è sempre meglio affrontare il cammino della vita da protagonisti senza limitarsi acercare di “sopravvivere”, perché chi semina raccoglie sempre.

Elena riflette sul fatto che a volte accade di non sentirsi capaci come vorrebbero; tuttavia, giorno dopo giorno si impara a gestire le piccole criticità che si incontrano nel corso del viaggio. Per esempio, non sempre si riesce a dedicare attenzione a più persone che ti cercano contemporaneamente, quindi capita che le attività si sovrappongano e involontariamente non si accolgano tempestivamente tutte le richieste.

Talvolta emergono anche delle fatiche legate al loro ruolo, così come sottolinea Giulia. relativamente all’approccio che sono chiamate ad assumere nei confronti dei ragazzi che, non dimentichiamolo, oltre a fare i conti con le innumerevoli ferite che si portano addosso sono anche adolescenti ribelli, com’è giusto che sia. Quindi spesso si domandano: “Come mi pongo? Da che parte sto?” Certo le volontarie stanno sempre dalla parte dei ragazzi, anche quando a loro può sembrare che non sia così, perché magari non possono accogliere tutte le richieste, ma è proprio in questi momenti che riscontrano le difficoltà più grandi nello svolgere il loro ruolo: non essendo lì in qualità di educatrici, ma neppure di amiche, si trovano spesso a svolgere il difficile compito di farsi mediatrici, un tramite, come dice  Elena, tra glieducatori e i ragazzi, infatti, sostiene Caterina, appartenere alla vita quotidiana della comunità Harambèe significa anche fare spazio dentro ai loro cuori affinché queste fragili creature possano sentirsi finalmente accolte, benvolute e amate. Dunque, prosegue Giulia, il volontario del Servizio Civile Universale collocato in questo ambito è colui che è presente quando tutto crolla e anche la comunità non sembra più essere l’ambiente che si sperava, talvolta diviene anche un insostituibile punto di riferimento che nella vita di ciascuno può far la differenza, perché si dedica al cento per cento alle confidenze dei ragazzi e riesce ad accogliere le inquietudini che ognuno si porta dentro.

Le giornate sono scandite da momenti precisi e definiti nei quali svolgere le diverse attività. Anche le regole sono strutturate e predisposte in modo spesso ferreo, con la duplice funzione di dare ai ragazzi abitudini sane e una routine in cui possano crearsi aspettative e vederle soddisfatte, laddove il più delle volte, nelle famiglie ciò che li riguardava era lasciato al caso; alle volontarie invece non è dato saperepreventivamente cosa andranno a fare: si sa l’umore degli adolescenti muta e non c’è mai un giorno uguale all’altro! Per esempio, ci sono volte in cui aiutare qualcuno a fare i compiti significa rendersi conto che quello che si potrebbe definire un banale ripasso, diventa improvvisamente uno scambio relazionale che riguarda il passato di chi osserva con aria nostalgica la cartina geografica del proprio paese d’origine e ne racconta il vissuto, le tradizioni, gli usi e i costumi.

Elena ritiene che quando le capita di avere alcune “giornate no” le basta varcare la porta dell’Harambée per ritrovare il sorriso perso. Questa è la dimostrazione che, il Servizio Civile Universale, con tutto ciò che comporta, fa del bene anche a chi, come i volontari, è chiamato a fare del bene; contribuisce alla crescita personale di tutti, in quanto i ragazzi non sono gli unici a ricevere, anzi spesso sono i primi a donare, nonostante i “mostri” che spesso li divorano dentro insieme alla continua fatica che sono costretti a fare per zittire le paure che impediscono ai sogni di emergere.

Giulia sottolinea come aiutare questi soggetti a riordinare il puzzle del passato per vivere al meglio il presente consente di indirizzare la loro crescita verso un futuro in cui ciascuno riuscirà a trovare il proprio posto nel mondo. Tuttavia, non esiste un libretto di istruzioni capace di indicare la maniera migliore per riuscirci, per agganciare i giovani, che sono divenuti adulti prima ancora di essere bambini, senza ferirli più di quanto lo siano già stati, né tantomeno esiste un manuale che consenta di individuare le strategie migliori per farsi accettare.

Gli adolescenti ti scrutano, ascoltano attentamente i discorsi che fai, si pongono e ti pongono millemila domande nel giro di pochi secondi tutte in fila, una dietro l’altra, senza darti neppure il tempo di riflettere troppo sulle parole da usare mentre rispondi; i ragazzi sfidano e al tempo stesso si affidano, infatti, dietro a ogni loro trasgressione o disubbidienza si percepisce un irrefrenabile bisogno di aiuto, una ricerca inconsapevole di attenzione, affetto e stima. È come se costantemente chiedessero: “Io valgo qualcosa per te? Posso fidarmi? Sei la persona giusta?”

Loro e solo loro possono decidere se vale la pena “sceglierti”. Ciascuna delle tre ragazze racconta di essersi sentita accolta in momenti diversi del percorso. Elena, ad esempio, ha condiviso insieme agli abitanti di Casa Harambèe, muniti di fantasia, la passione che lei stessa nutre verso il disegno. In questo senso, il linguaggio dell’arte l’ha aiutata a rafforzare il legame con alcuni ragazzi e a ritrovare la vena creativa che da tempo sentiva mancare in modo significativo.

Se da un lato, a partire dalle confidenze dei ragazzi,  compaiono fragilità e difficoltà legate ai compromessi che riguardano il senso di inadeguatezza e impotenza rispetto a una realtà che non possono modificare, è altrettanto vero che sono molto bravi a ringraziare per ciò che hanno; il modo in cui vivono la comunità, infatti, comprende per loro un cammino salesiano che li porta a compiere alcuni gesti e rituali appartenenti alla sfera religiosa sulle orme del padrone di casa: don Giovanni Bosco. Uno di questi è la preghiera prima di andare a letto, anche se naturalmente non tutti i ragazzi sono legati a un credo religioso e non sono obbligati a esserlo. Tuttavia, uno dei momenti di maggior arricchimento e di massima condivisione della giornata è proprio l’abitudinario pensiero della buonanotte. dove ci si raduna a cerchio in salone sui divani e chi lo desidera, per alzata di mano, ringrazia per la giornata appena trascorsa o prega per la propria famiglia. È un momento toccante, delicato e profondo, perché significa avere il coraggio di prendersi del tempo per sé nel silenzio della sera mentre ci si trova sulla “stessa barca” di chi è intorno a te. Mentre tutto tace e una flebile voce inizia a parlare si viene ascoltati senza giudizio, e tra scambi di sguardi pregni di complicità, si conclude la giornata in Harambee. E allora impariamo a ringraziare ogni giorno dell’anno per il dono della vita senza più perdere tempo con i lamenti relativi alle cose frivole e superficiali che ci accadono quotidianamente, impariamo a non restare più a galla. Scaviamo a fondo nel cuore e nei pensieri che ci fanno star male, perchè ne vale la pena sempre, e questo i ragazzi ce lo insegnano tutti i giorni!

Dedicare un anno del proprio tempo e della propria vita, seppur come volontario del Servizio Civile, consente di accrescere il proprio bagaglio personale e professionale, ancor più se si aspira a fare un mestiere appartenente alla sfera emotivo-relazionale. Inoltre, se si ha la fortuna di entrare in contatto con una realtà dinamica, cooperativa e aperta al dialogo che ti guida per diventare una persona intraprendente, determinata e responsabile tutto acquisisce più significato, perché si tratta di un’esperienza molto forte che ha un grande impatto emotivo se si ha voglia compiere azioni concrete per “l’altro”.

Per concludere, i nostri nomi sono Giulia, Caterina ed Elena, l’avrete capito, ma ciò che è difficile da spiegare è quel sentimento che più rappresenta questo nostro cammino come volontarie del Servizio Civile, il nostro, perché è bene esercitarsi con il plurale, oltre uno smisurato senso di gratitudine che ci ha fatto e ci fa sentire parte di un desiderio e di una famiglia speciale che ha un nome, degli occhi, dei respiri, una manciata di angosce e tanta responsabilità che vive grazie all’amore e alla condivisione: Harambèe, questo è il suo nome.

Giulia Vogliotti

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