“Rimessa laterale, dai su…” quella di Zerfu spicca fra le voci concitate dei ragazzi che
corrono dietro al pallone, sul campo di calcio sintetico dell’Oratorio del Valentino. Sono
ragazzi di tutte le età, adolescenti italiani, marocchini, albanesi, che nel pomeriggio si
ritrovano insieme per giocare, socializzare, crescere. Insieme.
Dopo una giornata di lavoro è lì, in campo ad arbitrare; ha ancora energia da spendere,
questo ragazzo di ventun anni dai grandi occhi scuri e una ancor più grande voglia di dare.
Gli chiedo di raccontarmi del Congresso internazionale dei Salesiani per il Sociale
(https://salesianeducation.com/en/italy-international-congress-of-salesian-works-and-
social-services-begins/ ), sorride e prende fiato un momento come per riordinare le idee,
poi comincia a parlare senza esitazioni:
“Eravamo una quindicina di ragazzi, provenienti da paesi diversi, Colombia, Brasile, Benin,
Spagna, Francia, Siria, India, Messico, Cambogia e tanti altri, molte persone con esperienze di vita
terribili che hanno conosciuto il mondo salesiano e ne sono stati cambiati. Questo congresso
era centrato su noi giovani, ognuno ha potuto raccontare la sua storia, l’incontro con Don
Bosco e con i Salesiani. Da quando sono entrato in questo mondo e mi sono aperto, la mia
vita è cambiata completamente.
Al Congresso ognuno di noi ha portato delle idee e delle proposte, alcune sono state
accolte: la mia, per esempio, è che si debba dare più visibilità all’opera salesiana, la gente
deve conoscere questa realtà, bisogna farsi conoscere per quello che si è, perché se no
vincono i pregiudizi. Bisogna farsi conoscere sul territorio”.
“Com’è cominciata questa tua esperienza?” gli domando incuriosita anche dalla
padronanza che mostra di avere rispetto alle tematiche sociali.
“L’esperienza è cominciata il 28 settembre a Torino, dove ci siamo trovati tutti insieme per
la prima volta, ma avevamo già lavorato per tre mesi su diversi argomenti facendo degli
incontri in videoconferenza, superando le difficoltà dovute alle differenze di lingue.
Abbiamo parlato e ci siamo confrontati su tanti aspetti diversi, ci siamo chiesti di che cosa
ha bisogno un ragazzo o una ragazza per farcela nella vita, abbiamo trattato di fedeltà,
speranza, amore, sogni, delusione, gratitudine…” si ferma solo un attimo per raccogliere le
idee, vedo chiaramente il desiderio di comunicare la ricchezza di quegli incontri, la
profondità dell’esperienza che ha vissuto, che rischia di perdersi un po’ se non è raccontata
con le giuste parole.
“Dopo questo lungo lavoro, trovarci tutti a Torino, nei luoghi di Don Bosco è stato
bellissimo. Ci alzavamo all’alba e dopo la colazione facevamo degli incontri con laici o
sacerdoti di ogni parte del mondo e ognuno di loro raccontava la realtà da cui proveniva, la
presenza salesiana che in ogni posto cerca di rispondere alle esigenze delle persone che ci vivono. Si è sempre parlato di cose concrete, di Don Bosco e della sua attualità. Poi vedere e
vivere quei giorni nei posti dove ha vissuto lui, è un’esperienza che ti prende; vedere ciò che
ha costruito, sentire raccontare la sua vita è stato incredibile. Alcune cose sono anche
divertenti, altre ti fanno pensare davvero. Sul cellulare mi sono salvato l’ultima frase che ha
detto ai suoi ragazzi prima di morire: Vi aspetto tutti in Paradiso!“
Si ferma un attimo, poi riprende con un tono molto serio: “Io penso che tutto il male che ho
fatto in passato non scomparirà, non potrò mai cancellarlo, ma posso fare qualcosa di
buono per compensarlo. E voglio farlo, questo è il mio impegno per il futuro!
Due anni fa non mi aspettavo che la mia vita potesse andare così, né che avrei conosciuto
persone così diverse ma accomunate da una cosa, la sofferenza!
Sono arrivato al GApp a settembre del 2019, non conoscevo Don Bosco e i salesiani, io sono cristiano, ma non ero praticante. Quando ho visto la chiesa, mi sono detto “Nooo”… ” ride come se parlasse di un’altra persona.
“Pensavo che fosse diverso, poi ho visto che c’erano educatori laici, pochi ragazzi… Ho fatto
fatica le prime due settimane, poi ho conosciuto le persone, l’ambiente, mi sono aperto,
insomma. Non vedevo niente di negativo. Piano piano ho apprezzato tutto sempre di più,
ho cominciato a lavorare e questo è stato un bene. Quando tornavo a casa, mi faceva
piacere.
Ti racconto un sogno che ho fatto, dopo alcuni mesi che ero qui. Ho sognato che dovevo
andare a lavorare, giravo, giravo e mi trovavo davanti alla chiesa di Fubine, la chiesa di
quando ero piccolo. Ogni volta che mi rimettevo in cammino per andare al lavoro, mi
trovavo davanti alla chiesa. Il mattino dopo ho raccontato questo sogno all’educatore e lui
mi ha detto che forse mi mancava ancora qualcosa di spirituale, la fede. Era proprio così!”
La solennità con cui condivide il racconto di questo momento significativo e la gioia che
trasmette quando parla dell’incontro con il Papa, sono difficili da restituire a parole, sono
emozioni forti che riempiono l’aria tutto intorno.
“Siamo rimasti a Torino fino al 2 ottobre, poi siamo andati a Roma per il momento
conclusivo di questo percorso. Anche lì abbiamo condiviso dei momenti bellissimi, ci siamo
confrontati, abbiamo riportato le nostre riflessioni e le nostre proposte, ma abbiamo fatto
anche i turisti. Siamo andati a vedere le catacombe, il Colosseo e abbiamo avuto
un’udienza privata con Papa Francesco. È stato tutto molto bello. La sera poi ci riunivamo
sempre per la buonanotte, per scambiarci anche solo un pensiero. Una volta mi è
capitato di non riuscire a parlare tanta era l’emozione!
Con questo progetto sono diventato più serio e ora ho più strumenti per comprendere gli
altri e aiutarli”.
Quello che ho di fronte è un ragazzo che mostra di aver trovato la maniera di rileggere la
sua esperienza passata e di averne compreso la lezione di vita.
Parlando dei ragazzi che hanno smarrito la strada, racconta come si sentiva lui, quando era
perso: “Più uno sta al buio, più si abitua a stare al buio, più stai al buio e più hai paura della
luce. Io stavo con gente abituata a delinquere e se qualcuno provava a darmi una mano, la
rifiutavo. Per paura…” conclude sommessamente.
“Ascoltare le storie tragiche delle persone che ho incontrato grazie a questa esperienza,
bambini soldato, donne maltrattate e vittime di violenza, povertà, abbandono, mi ha fatto
capire che sono fortunato. Mentre loro parlavano, mi chiedevo che ci facevo io lì, io ho
avuto molto di più. In Italia si sta bene, siamo fortunati, per questo dovremmo aprire una
porta, anzi due a chi ha bisogno. Chiedere è difficile, bussare alla porta e chiedere aiuto non
è facile per niente. E sono tante le persone che hanno bisogno, perché vivono nella violenza,
nella povertà, nella guerra…” abbassa gli occhi e mi mostra dei braccialetti che ha indosso.
C’è un nome e una storia per ognuno: “Questo viene dal Brasile, quest’altro dalla Siria…”
C’è un misto di tenerezza e gratitudine nella voce e nello sguardo di Zerfu mente mi dice i
nomi di queste ragazze e ragazzi speciali, che hanno saputo aprirsi e accettare l’aiuto dei
salesiani e che ora si mettono al servizio dei più poveri e fragili fra i loro fratelli e le loro sorelle.